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UN MODO PIÙ EVANGELICO DI VIVERE LA FEDE E LA MORALE

 

In questi pochi mesi di pontificato, Papa Francesco ha indicato un modo più evangelico di vivere la fede e la morale. Da sempre la Chiesa è allo stesso tempo “madre” e “maestra”.

Due gesti tra i tanti posti dal Vescovo di Roma esprimono questo stile, che sta contagiando un po’ tutta la comunità cristiana: la lettera del Papa a Eugenio Scalfari e l’intervista rilasciata a “Civiltà Cattolica”.

Ci sono tanti modi per parlare della fede oggi. A tutti i livelli e con tutti gli interlocutori. C'è la bella enciclica Lumen fidei, concepita e redatta in larga misura da Benedetto XVI ed ereditata e completata da Papa Francesco. C'è la lettera, puntuale e intensa, che il Papa ha indirizzato a Eugenio Scalfari, in risposta a due editoriali da lui scritti su «Repubblica».

L'enciclica parla alle menti, la lettera mostra che cosa accade se la fede è assunta in prima persona come motivazione di fondo del proprio agire. L'enciclica, soprattutto, argomenta le buone ragioni del credere, la lettera testimonia anche una scelta di vita.

Papa Francesco è consapevole, come dice nella sua lettera a «Repubblica», che bisogna «uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta», come quella che si è verificata tra cristianesimo e mondo moderno. Se si vuole evitare il muro contro muro è necessario seguire altre strade. 

Si tratta di manifestare che cosa la fede è attraverso i modi in cui la fede si esprime. Si tratta cioè d'intendere e di praticare la fede attraverso quelle relazioni che solo la fede rende possibile. Si tratta di farlo, anzitutto, attraverso l'esperienza del dialogo, e di un dialogo condotto in prima persona: un dialogo che è insieme testimonianza ed esposizione di sé.

Il termine «dialogo» ricorre più e più volte, insistentemente, nella lettera di Papa Francesco. E un dialogo vero, fondato sul rispetto, nel quale non si ritiene che l'interlocutore, comunque, finirà per darmi ragione. È soprattutto un dialogo che è un costante, umile esercizio di apertura alle ragioni dell'altro.

La fede spinge al dialogo, il dialogo mette in opera le relazioni che la fede sperimenta, nelle relazioni mi scopro parte, non tutto. Ecco perché, come dice Papa Francesco, l'umiltà risulta una caratteristica fondamentale del credente. Ma questo non significa affatto rinunciare a ciò che si è, a ciò che si crede.

La prospettiva umana, inevitabilmente relativa alla storia, alla cultura, alla situazione in cui ciascuno vive, non dev'essere confusa con un relativismo che tutto omologa e tutto mette sullo stesso piano.

Il Papa va alla radice del concetto stesso di verità: di quella verità che ogni credente assume come propria, appunto in quanto crede. Solo che, per il cristiano, questa verità è una relazione. È qualcosa che «si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita». Di ciò è testimonianza la fede.

In tale ottica va letto e interpretato l’intervento del Papa che ha compiuto sulla “Civiltà cattolica”. Dobbiamo affermarlo chiaramente che Papa Francesco non è per il relativismo etico, ma per un’accoglienza materna delle persone nella loro situazione concreta per aprirle alla novità cristiana attraverso la misericordia del Dio di Gesù.

«Io vedo con chiarezza che cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità… Si devono curare le ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto… ».

mons. Franco Cecchin