SI GIOCA, NON CI SI GIOCA
Non abbassiamo la guardia. La febbre del gioco sta aumentando in questo momento di crisi economica in Italia e anche a Lecco. I dati sono allarmanti. Gli Italiani nel 2011 hanno speso per i giochi (solo quelli) 76 miliardi di euro, pari a più di 1200 euro a testa, neonati compresi, otto volte di più di quanto i privati impegnano mediamente per l’istruzione. E già quest’anno si è arrivati alla quota 90 miliardi.
Non vogliamo essere allarmisti, ma la febbre del gioco sta diventando un’epidemia anche tra i giovani. E intanto lo Stato incassa (e non ringrazia). Insieme a lui incassano gli organizzatori del gioco che, come si sa, vincono sempre, mentre il “povero” cittadino perde e non se ne accorge. Lo aveva già intuito Maimonide, un saggio ebreo del dodicesimo secolo, che scriveva: “Il giocatore perde sempre. Perde denaro, dignità e tempo. E se vince, tesse intorno a sé una tela di ragno”.
Nella teologia morale si distinguono due specie di gioco: il gioco come attività piacevole e il gioco come strumento di guadagno. Il gioco ricreativo serve a ritemprare le energie, a distendere il corpo, ad aguzzare l’ingegno e a socializzare. Diverso è l’azzardo: più che un gioco è un patto, un contratto aleatorio in cui si può guadagnare o perdere.
In quest’ultima attività intervengono fattori rilevanti da un punto di vista morale. Ne ricordiamo tre, principali:
1 – il pericolo di perdere dei beni di cui non si può liberamente disporre o perché si tratta di beni che appartengono ad altri, oppure perchè abbiamo il dovere di usare questi beni per scopi più importanti o urgenti;
2 - il rischio di essere coinvolti nell’inganno e nella frode;
3 – la conseguenza di essere presi dalla passione, dall’ansia del gioco, dalla perdita della lucidità, dal bisogno impellente di puntare cifre sempre più alte.
Lo Stato italiano non può stare a guardare, speculando sulla povertà e sulla debolezza di molti cittadini: non deve limitarsi solo a controllare e incassare, ma anche è chiamato a controllare la pubblicità al riguardo ed ad aiutare chi è coinvolto nella “ludopodia” perché ne venga fuori.
Anche la Chiesa può fare qualcosa, anzi molto, in questo campo. Non basta, infatti, denunciare. È necessario prevenire, rifornire di senso e di speranza, educare ai valori del gioco e a insegnare a giocare. Al lotto o alla lotteria si gioca, non ci si gioca. C’è ben altro nella vita che merita il nostro impegno e la nostra attesa. La crisi economica può essere un’opportunità per riscoprire uno stile di vita più sobrio e una solidarietà responsabilizzante.
mons. Franco Cecchin
Prevosto di Lecco
Lecco, 11 marzo 2012
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