LA CRISI ATTUALE INTERPELLA LA CHIESA
Sono molteplici gli aspetti della crisi attuale: non solo crisi economica, morale ed esistenziale, ma anche crisi religiosa, ecclesiale e di fede. Ancora una volta ci accorgiamo che alla base di tutte le crisi c’è un elemento di fondo che è di tipo culturale.
Dopo aver già analizzato la situazione economica italiana e mondiale, vorremmo, sia pur brevemente, presentare quella ecclesiale. Siamo consapevoli che il Cristianesimo oggi nella sua modalità di Chiesa cattolica italiana (e non solo italiana!) sta vivendo un momento di crisi e di irrilevanza storica (scandali interni, diminuzione di vocazioni e di frequenza domenicale, divario tra fede e vita…).
Si è progressivamente smarrito lo spirito originario del Vangelo, attualizzato anche dal Concilio Vaticano II: alla ventata di novità e di speranza (ecclesiologia di comunione, dialogo con il mondo…) è seguita la disillusione e una sorta di “normalizzazione”.
È chiaro che il problema di fronte al quale ci troviamo è complesso e non può essere risolto cercando capri espiatori, vescovi, preti, religiosi o laici che siano. Certamente il contesto attuale soggettivistico, secolarizzato e pluralistico ha inciso e condiziona moltissimo.
Non dobbiamo, però, fermarci a queste constatazioni. È urgente andare alle radici della crisi. Non è sufficiente studiare nuove modalità pastorali come se la Chiesa fosse un’azienda che di fronte all’attuale crisi si ristrutturasse e investisse in “innovazioni”.
I fedeli non sono dei “clienti” da conquistare col “marketing”, ma credenti sempre più “anonimi” che anche quando chiedono “servizi religiosi”, in realtà nel profondo del loro cuore sono alla ricerca di Dio.
Il problema fondamentale della Chiesa italiana (e non solo) è di tipo culturale e riguarda la perdita di significato della fede cristiana già all’interno delle nostre comunità. L’impegno maggiore che noi cristiani stiamo mettendo, purtroppo, riguarda soprattutto gli aspetti organizzativi e quindi non va a segno.
Sappiamo che il cambio delle strutture è più facile e veloce, mentre quello della cultura è molto più lento e impegnativo. Evidentemente non si tratta di rifiutare il metodo della programmazione pastorale, ma di capire che esso è strumento e non fine, e che da solo non genera alcuna esperienza ecclesiale. Infatti se aiuta a organizzare i contesti e i processi, non determina né il “discernimento” né la “sequela” di Cristo, che implica il corretto, libero e fecondo rapporto tra Dio e l’uomo nel concreto della vita e della storia.
Siamo sollecitati a riscoprire e a mettere in atto i “fondamentali” della pastorale, in un cammino di autentica conversione: il primato della Parola, la centralità dell’Eucaristia e l’amore fraterno nella dinamica della testimonianza, del servizio e della missione.
In tale ottica, sono da riprendere e da vivere con maggior autenticità alcuni tratti del Concilio Vaticano II, come l’ecclesiologia di comunione, il valore del discernimento, lo stile della sinodalità, la corresponsabilità di tutto il popolo di Dio, l’interazione tra pastorale del territorio e dell’ambiente, una Chiesa povera e al servizio degli ultimi, il rapporto corretto tra Chiesa e società.
Teniamo presente, infine, che la crisi attuale nelle sue molteplici espressioni non è un fatto semplicemente negativo, ma un’opportunità e una grazia del Signore Gesù. Ciò che “sta più a cuore” a Benedetto XVI e ad ogni cattolico è “l’incontro con Gesù Cristo e la bellezza della fede in Lui”.
mons. Franco Cecchin
prevosto di Lecco
Lecco, 25 aprile 2012
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