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ABBIAMO BISOGNO DI CULTURA

 

Parlando con alcuni amici di ciò che abbiamo bisogno maggiormente in questo periodo di crisi, abbiamo concordato che la cul­tura è una dimensione fondamentale da ravvivare e alimentare. Semplificando parecchio abbiamo distinto tra cultura alta (quella degli specialisti) e cultura bassa (quella popolare) e siamo arrivati a queste prospettive.
La cultura alta non è poi così alta come ci si immagina. La vera cultura oggi è quasi sempre di tipo scientifico, perché quella umanistica non ha più gli splendori del passato. D'altra parte la cultura cosiddetta bassa, oggi è bassa anche moralmente, spiritualmente, intellettualmente. Ciò che domina è il grigiore, la banalità, il luogo comune e perfino, in alcuni casi la volgarità culturale. Si tratta di un fatto estremamente grave perché è peggiore dell'ignoranza. La stupidità è più pericolosa dell'ignoranza incolpevole.
In questo dialogo tra amici, non ho usato toni sfumati per delineare l'odierno panorama culturale nel quale, tuttavia, intravedo anche degli spiragli di luce. Un tempo gli uomini di cultura avevano un compito morale di leadership. Oggi non si vedono leader. Considerato il generale abbassamento del livello culturale, è fuor di dubbio che in tutti i campi ci si incontra con delle presenze che sono molto fluide, presenze fru-fru.
Ho richiamato la frase del dialogo di Kierkegaard: «La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che si mangerà domani». L'uomo di cultura contemporaneo, se non ha più il megafono, è marginalizzato, ma se ha il megafono rischia di ridursi a insegnare ciò che bisogna mangiare, bere, come vestire. Non indica più, non diciamo una rotta, ma neppure quel minimo di senso che sarebbe interessante scoprire ancora.
Certamente non è un quadro senza speranza. Tutt'altro. È piuttosto da pensare che su questo vuoto, su questa inconsi­stenza, si realizzi quello che diceva Pascal e cioè che l'uomo supera infinitamente l'uomo. Una volta ridotto soltanto a spettacolo, a banalità, a moda, l'uomo reagisce e sorge in lui il desiderio di conoscere e il bisogno di trascendenza. Come un grembo oscuro da cui scaturirà senz'altro qualcosa di nuovo.
E ci sono segnali che indichino il bisogno di tornare a pensare in grande. Dopo il crollo delle ideologie, il cui funerale è stato festosamente celebrato da tutti, ci si è accorti che non c'era tanto da ridere. Con la morte delle ideologie sono morte tutte le tensioni ideali e quelle morali. Viviamo in un tempo in cui siamo tutti piccini a cominciare dalla classe politica con rare eccezioni. Bisogna rilanciare il tema dell'utopia, dell'alta progettualità. E un ambito che sta facendosi strada perché la gente è stanca delle piccole soluzioni.
E un discorso che vale ovviamente anche per la Chiesa. La comunità cristiana deve stare attenta a non incapsularsi anco­ra nelle piccole iniziative, perdendo di vista l'ampiezza del di­scorso della montagna. Come diceva Antoine de Saint-Exupery: «Se tu devi fare un marinaio autentico, non devi insegnargli solo come si fa una nave, ma instillare in lui la nostalgia del mare spazioso e infinito». Bisogna rispondere alla scontentezza dei nostri giorni con la grandezza degli ideali.


mons. Franco Cecchin
prevosto di Lecco